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La progettualità… un lontano ricordo pre-pandemia.

Il nuovo male del secolo che colpisce la capacità di nutrire sogni e di desiderare il futuro

A ormai oltre due anni dall’inizio del fenomeno devastante quale è stato la pandemia da Covid-19, possiamo con certezza affermare che la vita quotidiana di ognuno ha subito grandi cambiamenti. Che ci piaccia o no, siamo sì persone diverse, per quanto si vociferi il contrario, cambiate nelle abitudini, nello stile di vita, ma soprattutto nel modo di nutrire sogni e desideri.


Ma non corriamo troppo.

Prima di tirare somme affrettate e lanciare facili osservazioni senza che a supporto vi sia una riflessione ben studiata, svisceriamo insieme il concetto di “cambiamento”, quello che molti di noi affermano a gran voce ma che di fatto conosce numerose sfaccettature, diverse per ciascuno di noi.


Innanzitutto, possiamo davvero parlare di cambiamento?


Si potrebbe forse piuttosto azzardare l’ipotesi che si tratti di una reazione a un evento imprevisto ed estremamente traumatico, a qualcosa che ci ha colto del tutto impreparati e che ha risvegliato in noi un istinto primitivo di sopravvivenza.

Sebbene sia un fenomeno divenuto ormai parte del nostro quotidiano, la pandemia ha di fatto stravolto abitudini e routine, il modo di riempire il nostro tempo e di intrattenere relazioni.

È una rivoluzione ancora in corso di svolgimento e la fine, che non coincide certamente con la cessazione dello stato di allarme pandemico quanto piuttosto con la fine degli effetti psicologici e sociali a essa connessi, non è ancora giunta tra noi, non si può dire sia alle porte.

Siamo ancora nel bel mezzo di uno stravolgimento epocale e se la percezione dominante è quella di credere che si tratti della coda del fenomeno… è solo perchè ormai tutto questo è divenuto abitudine.


Ed è proprio l’abitudine ciò da cui ci si deve guardare le spalle, subdola, lenta e silenziosa si annida nelle nostre vite anestetizzando desideri e ambizioni.

Se ciò è un principio valido sempre, a prescindere dall’esistenza di una pandemia, è anche vero che ad oggi ci siamo abituati a convivere - erroneamente - con un fenomeno che fino a due anni fa ci ha costretti a vivere barricati in casa e a privarci di affetti e abbracci come nel peggiore dei film apocalittici. L’abitudine ci fa perdere lucidità, è evidente, e ha il potere di silenziare il nostro sentire al punto tale da farci smarrire e non riconoscerci più.

E se ciò lo associamo alla pandemia, ci accorgiamo che l’abitudine a una posizione di immobilità ha come principale conseguenza la fine di qualsiasi aspirazione e desiderio di futuro.


Molti di noi hanno affrontato questo periodo storico convinti del fatto che presto sarebbe terminato e che il tempo, in fondo, sarebbe trascorso più velocemente di quanto si potesse credere. Svegliandoci un giorno tutta questa faccenda non sarebbe stata altro che un lontano ricordo.

A molti è effettivamente parso sia andata così, diversi di noi addirittura hanno creduto di non aver subito alcun effetto o conseguenza negativa sulla propria vita e sulle proprie abitudini.

Tuttavia se alcuni non hanno subito alcun danno ma, anzi, ne hanno tratto svariati benefici, non si può dire che ciò riguardi la maggioranza.

Passato il periodo nero, anche coloro che ne erano apparentemente usciti indenni… hanno dovuto fare i conti con l’inibente, a tratti fastidiosa, nonchè limitante, sensazione di non avere nulla a cui ambire.


Perchè è questo l’effetto più devastante che ha colpito, tanto quanto il virus, la società attuale: la perdita di qualunque desiderio di progettare il proprio futuro.

Già. Perchè il futuro è quel qualcosa che ci fa percepire un motivo di fondo, lo stesso che ci fa alzare dal letto al mattino desiderosi di posare un mattoncino in più nella costruzione del proprio divenire.

Che siano obiettivi a breve o a lungo termine poco importa: è la corsa a farci sentire vivi, la stessa che potremmo definire la polizza kasko esistenziale contro i mali dell’insoddisfazione e dell’insofferenza. Non poter con lo sguardo mirare oltre i confini dell’immediato, dell’imminente, è una sensazione capace di sgretolarci lentamente, ogni giorno di più, in quanto è solo ambendo a piccoli traguardi quotidiani che siamo in grado di percepire il tempo e ad esso dare un senso; se allarghiamo la visuale, poi, possiamo addirittura affermare che è grazie agli obiettivi giornalieri che riusciamo a realizzare che siamo in grado di percepire e dare un senso alla vita nella sua interezza.

Questo genere di meccanismi è insito nell’essere umano che, a differenza del mondo animale, vive di progettualità e sa percepire il futuro.

Sebbene molti potrebbero affermare che è proprio questo a rendere la specie umana eternamente infelice, incapace di godersi il momento presente e di trarre soddisfazione dall’oggi, la cultura in cui siamo immersi ci ha educati a percepire la vita in questo modo e una pandemia, seppur abbia tutte le carte in regola per sovvertire gli schemi, non basta per modificare secoli di abitudini culturali.


La sensazione di non puntare ad alcuna meta, che accomuna molti oggi giorno, è strana, non facile da riconoscere, da accettare e per questo ancor meno da dichiarare.


Che persone povere di spirito e di ambizione saremmo agli occhi degli altri, del resto, se non avessimo alcun sogno nel cassetto o alcun traguardo da raggiungere?

Perchè dovremmo pubblicamente dichiarare di vivere un periodo tanto povero di emozioni?


Dopo l’abitudine, che imperversa nelle società che vivono immerse nel benessere e che ha rappresentato il più nocivo parassita emotivo degli ultimi 50 anni di storia occidentale, ecco che ci troviamo di fronte a un nuovo male sociale che possiamo dire con certezza affligge la società moderna post-covidiana: stiamo parlando della mancanza di progettualità, una versione - o evoluzione - 3.0 della tanto cara abitudine.


Molto più di una semplice sensazione passeggera, la carenza - se non addirittura l’assenza - di progettualità è la conseguenza diretta di un’esposizione prolungata a un fattore stressogeno - la pandemia - divenuto costante motivo del quotidiano.

A tal proposito ci rifacciamo alla “Sindrome Generale di Adattamento” studiata da Hans Selye nel 1974: come ben teorizzava H. Selye, questa è l’inevitabile effetto collaterale dell’essere sottoposti a una condizione stressogena che non conosce fine nel breve termine ma che, anzi, caratterizza la vita dell’individuo per un periodo che si protrae oltre la sua capacità di resistenza, ovvero di messa in atto di meccanismi di difesa capaci di contrastare l’influenza negativa esercitata dallo stressor.

Esaurite le energie, l’individuo soccombe.

In riferimento all’argomento trattato soccombere significa adattarsi inevitabilmente a uno stile di vita che ci vede dediti all’immanenza, all’oggi, unica certezza che possediamo. L’incertezza che fa dunque da sfondo a un periodo più lungo del previsto (o del tollerabile) ci rende esseri meno avvezzi alla coltivazione di sogni, unico leit motiv possibile per sopravvivere animati dalla giusta volontà e determinazione nel quotidiano.


Rimettersi in gioco non è semplice.

Al pari di qualunque evento traumatico, la paura per un futuro indefinito è la più difficile da scacciare ed è al contempo difficile da debellare in quanto nella maggior parte dei casi siamo del tutto ignari di covarla, essendo questa divenuta abitudine. Non conoscere le caratteristiche della propria condizione non può spronare ad alcun cambiamento semplicemente perchè non si è in grado di avvertirne l’esigenza.


La soluzione che proponiamo è, come spesso accade, una vecchia cura, un balsamo per l’anima sempre valido, che non conosce mai inflazione: per risolvere un problema… se ne deve avere uno nuovo, più grande.

Per comprendere la profondità di tale affermazione è necessario premettere che nel quotidiano tutti noi viviamo situazioni da gestire e che prevedono il dare fondo a tutte le nostre energie, queste circostanze rappresentano “problemi” di vita quotidiana che possono considerarsi di natura ordinaria quando capaci di generare uno stress positivo, ovvero l’attivazione dei flussi della motivazione e della volontà che ci danno la forza di affrontare le difficoltà e di portare il problema a soluzione. Seppur catalogate in qualità di “problemi”, le circostanze menzionate hanno il potere di farci sentire vivi: presi dalla realizzazione di un obiettivo che presenta difficoltà o dalla risoluzione di imprevisti siamo trascinati in una spirale che ci costringe ad attivare il nostro spirito di conquistatori, mossi da una forza inspiegabile che… non rappresenta altro che il motivo di fondo per cui ci adoperiamo per trovare una soluzione, il motivo per cui facciamo tutto ciò. Che sia la sete di riconoscimento sociale o la voglia di riscatto per i fallimenti passati poco importa: a costringerci a muoverci ogni giorno vi è sempre un leit motiv che ci permette di non chiuderci nel guscio dell’inezia, della pigrizia e dell’assenza di stimoli. Questo leit motiv ci infonde motivazione e muove il più profondo meccanismo del desiderio.

L’assenza di progettualità è, in fondo, l’assenza di desiderio e la mancanza di uno stimolo capace di tirarci fuori dalla spirale demotivante in cui siamo incastrati.

La pandemia ha certamente spezzato le ali di molti sogni e costretto a un periodo nero di demotivazione. Ma se si riflette attentamente, ognuno di noi può annoverare periodi più o meni bui in cui circostanze personali ci hanno fatto perdere fiducia verso il futuro al punto da accantonare qualunque ambizione. In quel momento nulla sembrava potesse scalfire il muro di frustrazione, eppure a un certo punto… l’alba è tornata a splendere e portava il nome di un nuovo obiettivo, di un nuovo progetto, di una nuova persona, che ha saputo rimettere in circolo il desiderio nelle nostre vene.


La vita prima o poi tornerà a fare il suo giro regolare, ma nel frattempo il non agire può comportare irreparabili danni: il tempo che perdiamo non tornerà mai indietro.

Con un misto di svogliatezza e di forza d’animo recuperata dal fondo dell’ultimo barile, l’unica cosa che è in nostro potere fare per risollevarci quando la vita non ci offre stimoli come dovrebbe è quella di rimboccarsi le maniche e iniziare la lenta risalita.

Sebbene paia un concetto banale, vi è un’enorme differenza tra l’accettazione passiva di una situazione demotivante e la consapevolezza di esservi immersi fino al collo. Saperlo, ovvero riconoscere di vivere un periodo del tutto improduttivo, non può lasciarci impassibili.

Ecco allora che non resta, seppur controvoglia, che darsi una spinta, come se una mano invisibile si posasse sulle nostre spalle e ci spingesse fuori dall’uscio della nostra routine, abitudinaria e deleteria, e ci esponesse forzatamente alle intemperie di una nuova vita. Gli stimoli sono ovunque, sta solo a noi lasciare che ci colpiscano restituendoci nuova linfa.

Se la vita non fa il suo corso regolare, se inciampa in una pandemia o nel peggiore degli eventi imprevedibili, sta a noi decidere se soccombere o se permettere agli stimoli di giungere a noi comunque e continuare a sorprenderci come accade in condizioni normali.


Dunque esci, e fai cose che non faresti mai.
Mettiti in gioco, fai ciò che mai avresti pensato e concediti la possibilità di ripartire, seppur passando da una porta che mai avresti immaginato di varcare.
La destinazione la si può raggiungere attraverso tante strade: se quella più ovvia è inagibile, persegui il sentiero panoramico e goditi la vista.
Concedi alla tua mente la possibilità di avere qualcosa di nuovo a cui pensare, problemi da risolvere e soluzioni da trovare.
Solo quando la linfa della motivazione tornerà a circolare nelle tue vene perchè attivata da uno stimolo tutto nuovo, potrai dirti “guarito” dal male della mancanza di progettualità.


Se la teoria del chiodo schiaccia chiodo non vi ha mai convinto o ne avete sempre e solo sentito parlare in qualità di cura ai più dolorosi drammi sentimentali, pensate semplicemente che focalizzare tutta l’attenzione su un nuovo problema non fa altro che concedervi la possibilità di distogliere l’attenzione dal problema precedente, estinguendolo.

Un momento di respiro che permette il lusso di rivolgere lo sguardo altrove, un altrove che, per essere sano, deve avere come elemento fondante la persistenza, la stessa che sa condurre a destinazioni nuove e inimmaginabili.


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