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Autostima, identità, la percezione di sè in relazione agli altri: dove nasce il concetto di sè?


 



Il fallimento come forma di relazione nel rapporto bimbo-adulto

Uno degli autori di riferimento più importanti in materia di psicologia sociale dello sviluppo è sicuramente L.S. Vygotskiy secondo il quale “tutte le funzioni superiori nascono come relazioni concrete tra individui”.

Nella dinamica tra un bimbo e un adulto, se il bimbo nel compiere un’azione verso un qualche oggetto fallisce nel suo intento, tale fallimento suscita una reazione nell’adulto, non certo nell’oggetto destinatario dell’azione iniziale; il prendere atto della reazione suscitata nell’adulto spingerà il bimbo a percepire quel fallimento attraverso la persona e non attraverso l’oggetto originariamente bersaglio dell’azione. Da qui la deduzione secondo cui sono le persone a plasmare il modo in cui il piccolo impara a leggere i propri comportamenti, il mondo e il proprio rapportarsi ad esso.

In merito allo sviluppo umano, a seconda del periodo storico preso in esame, si è sempre posto l’accento al condizionamento biologico o ambientale, mentre oggi si è concordi nel sostenere la cosiddetta teoria dei tre fattori, cioè il modello bio-psico-sociale secondo cui lo sviluppo è sì condizionato a livello biologico, ma l’evolversi dipende in modo importante dalla storia personale e dall’ambiente sociale in cui l’individuo cresce. In particolare a lasciare un segno importante nel processo di crescita sono le relazioni che abbiamo intrecciato, che possono assumere un connotato funzionale, ovvero essere considerate positive per il nostro sviluppo, o disfunzionale, ovvero creare fratture importanti nel nostro nucleo emotivo.


Le relazioni sociali come base del comportamento nell'adulto

Il primo micro-sistema in cui si assiste allo sviluppo del sé è la famiglia: lo sviluppo del neonato è fortemente influenzato dagli stati cognitivi ed emotivi dei genitori e dalle aspettative che questi riversano su di lui. La dipendenza e l’autonomia nel bambino dipendono dai comportamenti e dalle risposte alle azioni che i genitori mostrano nei suoi confronti. La dipendenza nel primo anno di vita è fondamentale, ma se protratta dal secondo anno in poi può, per esempio, generare ritardo nell’autonomia o un blocco nell’esplorare l’ambiente intorno.

Per meglio intenderci, propongo qui di seguito un esempio di come l’ambiente sociale può influenzare lo sviluppo del sé.

Tutti noi siamo stati influenzati dall’ambiente sociale in cui siamo cresciuti, dai genitori, dalla famiglia, dalla scuola, dagli amici e questo ambiente e le relazioni che abbiamo intessuto hanno contribuito a formare ciò che siamo, ovvero un contenitore emotivo fatto di successi e fallimenti, gioie e sofferenze.

In particolare a lasciare un segno importante nel processo di crescita sono le relazioni che abbiamo intrecciato, che possono assumere un connotato funzionale, ovvero essere considerate positive per il nostro sviluppo, o disfunzionale, ovvero creare fratture importanti nel nostro nucleo emotivo.


Il nucleo emotivo

Perché parlo di nucleo emotivo?

Perché è la nostra parte più primitiva, ovvero quello che comunemente viene chiamato inconscio a determinare la buona riuscita o meno delle relazioni significative della nostra esistenza.

Siamo fatti di piacere e sofferenza, la parte logica e razionale è solo un filtro attraverso cui cerchiamo di “far quadrare il cerchio”, di difenderci da emozioni troppo intense, di affermare in qualche modo noi stessi, anche quando vacilliamo.

Oggi come oggi, abituati come siamo a rispondere a regole e a valori socialmente condivisi, abbiamo dimenticato chi comanda e chi muove realmente le fila delle nostre scelte. In questo la nostra emotività gioca un ruolo fondamentale in quanto, poichè depositaria della nostra esperienza pregressa, inclusi gli errori e le cadute più dolorose, sa sempre indicarci la via giusta quando si tratta di prendere decisioni importanti.

Ecco perchè è doveroso imparare ad ascoltarla, interpretarla e soprattutto gestirla.


Correggere la rotta dei rapporti interpersonali disfunzionali

Se è vero che siamo il prodotto di relazioni, dobbiamo assolutamente fare in modo che queste siano per noi positive, che ci arricchiscano rendendoci consapevoli della nostra capacità di gestirle e del nostro valore come persone.

Le Discipline Analogiche®, studiate e messe a punto dallo psicologo Stefano Benemeglio, sono ad oggi il metodo elettivo per conferire un carattere emotivo ai processi comunicativi che instauriamo con gli altri ogni giorno con il fine di comprendere molto di più rispetto alla natura comportamentale e dei bisogni altrui, ottenendo riscontro in tempo reale. Questo tipo di comunicazione non si limita alla possibilità di migliorare l’interazione con gli altri, bensì fornisce la possibilità di comprendere meglio se stessi e conseguire significativi risultati nel quotidiano.

Stefano Benemeglio, partendo dall’osservazione del comportamento umano e dei suoi mutamenti durante le sperimentazioni ipnotiche, affronta da una diversa e rivoluzionaria angolatura le problematiche legate alla comunicazione utilizzando quel “canale emotivo” capace di aprire le porte a una comprensione profonda dell’altro.

L’atto comunicativo, infatti, non si esplica solo attraverso il canale verbale, ma lo fa soprattutto attraverso una compagine di gesti e atti che sono la risposta emozionale alle stimolazioni di cui ciascuno di noi è bersaglio ogni qualvolta si è coinvolti in un processo comunicativo. Parliamo di cose, idee o persone presenti nell’istante in cui il dialogo è attivo e che stimolano la produzione di segnali di carattere non verbale che, se osservati e letti nella giusta ottica, rappresentano un’importante bussola per rendere efficace la propria comunicazione.

Da qui il termine di “comunicazione emozionale” che attribuisce a questa tipologia di comunicazione la qualità di comunicazione inconscia in quanto incarnazione dell’inconscio stesso (attraverso gesti e atti specifici), espressione della nostra emotività più profonda.

Il punto di vista benemegliano va quindi ben oltre le disamine precedenti di “linguaggio del corpo” comunemente conosciute. Ciò che distingue il concetto di linguaggio del corpo in chiave analogica è l’attribuzione all’espressione degli atti di comunicazione non vebale un’analogia con lo stato emotivo vissuto nel preciso istante in cui il segnale viene emesso. L’aver scoperto una relazione tra gestualità inconscia e sentire emotivo rappresenta l’innovazione principale da cui prende poi corpo il pensiero secondo cui se l’Uomo è governato dalle sue emozioni, può anche essere in grado di governarle.


Questa prospettiva ci offre grandi possibilità di riscatto personale in termini di valore e autostima, perché ci può fornire gli strumenti utili per affrontare da un nuovo punto di vista la sofferenza passata riconoscendola e imparando a gestirla.

La conoscenza di questo rivoluzionario tipo di linguaggio ci rende consapevoli del fatto che, se anche fino ad un certo punto della nostra esistenza siamo stati “disfunzionali” o “fallimentari”, ora abbiamo la possibilità di acquisire un nuovo strumento comunicativo che ci permette di poter invertire la rotta delle nostre esistenze prendendo in mano il timone della nostra vita; basta sapere come farlo, basta saper gestire le emozioni… basta conoscere la Comunicazione Analogica®.

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